Piccola e priva di particolari pregi architettonici, la chiesetta si trova all’interno del castello di Serravalle, di cui era forse la cappella palatina. Risale al XIV secolo, titolata in una prima fase a san Giovanni, quindi a sant’Andrea, e solo nel XIX secolo a Nostra Signora, in seguito al ritrovamento di un’immagine sacra.
La chiesa fu inclusa nel perimetro delle fortificazioni del castello nel periodo aragonese. Ospita degli affreschi di cui si era persa memoria, che furono riscoperti solo nel 1973, con la rimozione degli intonaci. Purtroppo molto è andato perduto, in particolare tutta la zona dell’abside, che fu rifatta insieme al presbiterio in un periodo imprecisato. Tema del ciclo, la vanità dei beni materiali e il riscatto dalla morte terrena offerto dall’eucarestia, cui fanno da testimoni santi e martiri. Le virtù celebrate sono quelle più care ai francescani: povertà, castità, umiltà.
Il messaggio di Francesco era dunque noto a Bosa, anche se nulla sappiamo dell’autore degli affreschi e dei committenti. Il ciclo si articola in due registri sovrapposti, separati da una fascia marcapiano. Sulla parete a sinistra della controfacciata (sud), nella parte superiore, la narrazione inizia con l’adorazione dei Magi, a cui segue l’Ultima Cena. Nella parte inferiore campeggia una teoria di sante e santi legati alla spiritualità francescana, tra cui san Giacomo Maggiore, santa Marta e santa Maria Maddalena. In controfacciata, due episodi: san Martino a cavallo con il povero e san Giorgio che uccide il drago. Tra i due giganteggia san Cristoforo mentre attraversa un fiume ricco di pesci. A destra del portale, san Michele e la Madonna.
Nel registro inferiore della controfacciata e sulla parete di destra prosegue, nonostante le molte lacune, la teoria di santi, tra cui si riconoscono, tra gli altri, sant’Elena e san Costantino, venerato nella sola Sardegna, che reca i chiodi della croce. E poi, ancora sul registro inferiore della parete a destra della controfacciata, l’episodio, caro ai francescani, dell’incontro tra i tre morti e i tre vivi. Sul registro superiore, una teoria di nuovi santi francescani di difficile identificazione, con l’eccezione di san Ludovico di Tolosa, riconoscibile dai gigli di Francia sul mantello. Fu canonizzato nel 1317, pertanto la datazione dell’opera non può che essere posteriore, nonostante lo stile arcaico e bizantineggiante. Studi recenti collocano il ciclo di affreschi alla fine del periodo giudicale, tra il 1350 e il 1370, per mano di artisti di ambito toscano.
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